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giovedì 30 giugno 2011

Piccoli inconvenienti in gravidanza

- Alcuni piccoli inconvenienti sono del tutto normali in gravidanza, e vanno affrontati con la serenità e la consapevolezza che si tratta di innocui effetti collaterali di un momento transitorio della nostra vita. Ci sono invece altri problemi, vere e proprie patologie, che vanno assolutamente evitati e combattuti.
In entrambi i casi ci viene in aiuto la nostra alimentazione: ecco qualche “dritta” per una gravidanza senza (piccoli) disturbi né (grandi) rischi.

Attachi di fame

Mangiare: croce e delizia della dolce attesa! Ma quando il cibo diventa un’idea fissa, fai così:
  • chiediti se mangi abbastanza ai pasti
  • accertarti di consumare cibi ricchi di fibra: verdure, legumi, frutta, cereali integrali
  • programma spuntini leggeri a metà mattina e metà pomeriggio, a base di frutta, latticini, pane o cereali integrali.
Nausea

Fanno spesso la loro comparsa al mattino a digiuno e, benché siano decisamente antipatiche, sono considerate un segnale positivo per la gravidanza, in quanto indici di un tasso elevato di progesterone, ormone indispensabile al buon svolgimento della gestazione. Combattile così:
  • al risveglio mangia subito uno-due biscotti, e poi fai colazione
  • consuma piccoli pasti, facendo vari spuntini durante la giornata
  • limita i piatti grassi, pesanti da digerire, gli alimenti acidi e piccanti.

Al contrario di nausea e vomito (che in genere caratterizzano solo i primi mesi), acidità e bruciori di stomaco sono tipici della parte finale della gravidanza, quando aumenta la secrezione gastrica e gli acidi salgono fino a sentirli quasi in gola. Per regolare le secrezioni acide e favorire la digestione:
  • non farti mancare la lattuga, anti-acido vegetale
  • occhio alle cipolle: per ridurne l’acidità puoi congelarle prima di tagliarle, ma l’importante è cuocerle
  • finocchio a gogo: è un super-balsamo per lo stomaco
  • sì a latte e yogurt: bevi un bicchiere di latte caldo prima di coricarti
  • bandisci dalla tua tavola i cibi acidi, l’aceto e le bibite gassate
  • mangia lentamente e cena presto alla sera.
Stitichezza

La gravidanza può provocare o aggravare i disturbi del transito intestinale: il progesterone infatti provoca un rilassamento delle fibre muscolari e il feto, che comprime l’intestino, disturba il progredire del bolo fecale. Risultato: passaggio difficoltoso. Per facilitarlo:
  • consuma regolarmente cibi ricchi di fibra
  • bevi tanta acqua.
Stanchezza e anemia
 
Ti senti a pezzi? Una leggera anemia è normale in gravidanza, tuttavia per combattere la spossatezza tipica della gestazione e del calo di ferro:
  • consuma carni rosse, cereali, sardine, broccoli, fagiolini, albicocche e… cioccolato!
  • bevi aranciate e succhi di agrumi (la vitamina C aiuta ad assimilare il ferro)
  • riduci tè e caffè: ostacolano l’assimilazione del ferro.
Listeriosi

È un’infezione batterica che si trasmette attraverso il consumo di alimenti contaminati, ma per nostra fortuna è sensibile al calore. Si raccomanda di:
  • non consumare prodotti del latte appena munto, formaggi a pasta non lavorata (brie, camembert, formaggio di latte di capra ecc.), crosta dei formaggi, affettati, pesce crudo, pesce affumicato, frutti di mare crudi e germogli di grano
  • lavarsi le mani dopo aver manipolato alimenti non cotti
  • sciacquare bene frutta e verdura
  • cuocere bene carni e pollame.

Come per la listerosi, sono fondamentali alcune norme alimentari e precauzioni comportamentali e igieniche. Infine, chi possiede un gatto dovrebbe curare anche la sua alimentazione e la sua igiene quotidiana.

Amniocentesi

L'amniocentesi consiste nel prelievo per via transaddominale di una piccola quantità del liquido amniotico, che avvolge e protegge il feto durante la crescita ed il suo sviluppo. La nuova vita è infatti ospitata all'interno di una sacca, detta sacco amniotico o amnios, ripiena di un liquido - il liquido amniotico - che la protegge da urti, sbalzi termici e pressioni di vario genere.
L'amniocentesi è una procedura medica mini-invasiva, utilizzata prevalentemente per la diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche, infezioni ed alterazioni dello sviluppo fetale, come ad esempio la spina bifida e la sindrome di Down. Il liquido amniotico contiene infatti delle cellule, dette amniociti, che provengono direttamente dal feto; una volta isolate, tali cellule possono essere moltiplicate ed utilizzate in laboratorio per analisi citogenetiche e/o molecolari.

Tecnica e rischi

Di regola, l'amniocentesi viene eseguita a partire dalla quindicesima settimana di gravidanza, quando la cavità amniotica ha raggiunto dimensioni tali da non costituire rischi particolari per il feto durante l'esame. Tali rischi vengono ulteriormente ridotti da una preventiva ecografia, che mostra la posizione del feto e della placenta. Se la gestante è idonea all'esame - che è ad esempio controindicato in presenza di febbre od altre infezioni in atto - la pelle dell'addome viene disinfettata con una soluzione antisettica. Sotto costante guida ecografica, lo specialista in ostetricia e ginecologia infila un sottilissimo ago attraverso la cute che ricopre la sottostante cavità uterina, allo scopo di raggiungere la cavità amniotica e prelevare circa 15 ml dell'omonimo liquido. Si consideri che alla 14esima settimana di gestazione tale liquido occupa un volume di circa 100 ml, che sale a 150-200 ml 15/30 giorni più tardi e a 500 ml intorno alla ventesima settimana. Il monitoraggio ecografico non produce radiazioni ionizzanti, è assolutamente innocuo e come tale non provoca alcun danno al feto, anzi, permette di controllare la sua posizione e quella dell'ago, minimizzando il rischio di complicanze.
In laboratorio, una piccola parte di liquido amniotico viene utilizzata per eseguire test biochimici diretti, mentre dalla rimanente vengono isolate le cellule fetali, successivamente coltivate per ottenere un campione numerico sufficiente alla valutazione del cariotipo.
L'esame non è doloroso (al più fastidioso), dura pochi minuti e non richiede anestesie particolari o il ricovero ospedaliero; al termine dell'amniocentesi è comunque necessario rimanere per 30-60 minuti nel centro sanitario. Nei 2/3 giorni successivi all'esame è bene astenersi da attività fisiche pesanti; inoltre, nel caso si dovessero avvertire dolori addominali prolungati o la comparsa di febbre o strane perdite vaginali, è importante informare immediatamente i propri assistenti sanitari.
Come tutte le procedure invasive, anche se praticata da personale esperto e ben attrezzato, l'amniocentesi presenta una certa percentuale di rischio abortivo, grossomodo quantificabile in una possibilità su 200. Studi più recenti, datati 2006, indicano che il rischio aggiuntivo di aborto, rispetto a donne non sottoposte ad amniocentesi, è particolarmente basso (0,06%) se non addirittura nullo. Si tratta quindi di una procedura sicura, caratterizzata da una piccolissima percentuale di rischi e complicanze. Una di queste viene annullata somministrando alle gestanti Rh negative non immunizzate, con partner Rh positivo, immunoglobuline anti-D; l'iniezione di tali anticorpi si rende necessaria per il possibile passaggio di sangue fetale nel circolo materno, con conseguente produzione di immunoglobuline che potrebbero danneggiare il bambino.
Teoricamente, l'abortività associata ad amniocentesi può essere ricondotta allo sviluppo di amniotite (infezione del liquido amniotico), alla rottura delle membrane o alla comparsa di attività contrattile non controllabile con la terapia medica. Errori diagnostici e fallimenti colturali che richiedono la ripetizione del test sono estremamente rari (<0,2%). A causa di questi rischi è assolutamente necessario che l'amniocentesi venga preceduta dalla sottoscrizione del consenso informato da parte della gestante, che ha il diritto di ottenere preventivamente ogni genere di delucidazioni su modalità, limiti diagnostici e rischi della procedura.
Considerati i costi e soprattutto le rare, ma pur sempre possibili, complicanze, l'amniocentesi non viene effettuata nel caso in cui i genitori escludano a priori qualsiasi ipotesi di interruzione gravidica, a meno che non vogliano eseguirla al solo fine di prepararsi con maggiore consapevolezza alla nascita di un bambino affetto da qualche anomalia. Non si tratta inoltre di un esame di routine, ma di un'indagine diagnostica a cui vengono sottoposte soltanto le madri consenzienti considerate a rischio. Aldilà di ciò, l'amniocentesi rimane comunque un esame assolutamente facoltativo ed i genitori sono gli unici responsabili della loro scelta.

Quando si esegue l'amniocentesi? Quali sono le sue indicazioni?

Solitamente, l'amniocentesi viene eseguita tra la 16esima e la 18esima settimana di gravidanza. Tuttavia, il desiderio di ottenere indagini più precoci, ha indotto numerosi autori ad anticipare sempre più la data dell'esame, tanto da praticarlo addirittura tra la decima e la dodicesima settimana di gestazione. Si parla, in questi casi, di amniocentesi precoce. L'incidenza di complicazioni aumenta in maniera sensibile rispetto all'amniocentesi standard, ma si ha il vantaggio dell'anticipazione diagnostica.
Come risposta a questa esigenza di anticipare il più possibile la diagnosi prenatale, ormai da diversi anni è disponibile un altro esame, definito villocentesi (prelievo dei villi coriali), che si esegue tra la X e la XII settimana. Il principale vantaggio dell'amniocentesi rispetto alla villocentesi è che il rischio di contaminazione da parte di cellule materne è minore, così come il rischio abortivo (anche se questo si è ormai livellato tra le due procedure, grazie al miglioramento delle tecniche e dei protocolli diagnostici).
Si parla di amniocentesi tardiva quando la tecnica diagnostica viene eseguita dopo la ventesima settimana di gestazione. In questo caso le indicazioni sono quelle di valutare in generale lo stato di salute del feto, la sua maturità polmonare (in vista di un parto anticipato) e l'eventuale isoimmunizzazione materno-fetale.
Raramente, l'amniocentesi può essere eseguita per rimuovere un eccessivo accumulo di liquido amniotico (definito polidramnios); in questi casi si parla di amniocentesi evacuativa.
La principale indicazione dell'amniocentesi rimane la diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche. L'indagine prioritaria è mirata all'identificazione di un'eventuale sindrome di Down e di altre patologie su base genetica. Nel caso particolari fattori di rischio lo richiedano, è comunque possibile identificare un ventaglio più o meno ampio di malattie cromosomiche (fibrosi cistica, sordità congenita, distrofia muscolare Duchenne, talassemia e molte altre). Oltre all'esame delle cellule, l'analisi del liquido amniotico può dare importanti indicazioni sulla presenza di malattie genetiche. L'alfa-feto-proteina (AFP), ad esempio, viene prodotta dal feto ed è dosabile nel liquido amniotico prelevato per amniocentesi. Quando il valore di AFP è elevato, esiste una concreta possibilità di malformazioni fetali, come difetti del tubo neurale (spina bifida, anencefalia o meningocele), difetti della parete addominale ed altri.

Cosa succede se l'amniocentesi evidenzia una qualche anomalia

Quando i risultati dell'amniocentesi mostrano un risultato patologico, la coppia viene immediatamente informata dal genetista sul significato dell'anomalia, sulle sue possibili implicazioni e sulle opportunità terapeutiche. Sulla base di queste informazioni, con il sostegno dei famigliari e degli operatori sanitari, la coppia deve prendere la decisione che ritiene più opportuna; quando la patologia è grave, dato che nella maggior parte dei casi non esistono possibilità concrete di cura, si presentano soltanto due possibili alternative: portare avanti la gravidanza, preparandosi ad accogliere o dare in adozione (nei termini previsti dalla legge) il bambino, oppure interrompere la gravidanza secondo tempi e modi previsti dalla legge.

Alimentazione per un aumento ragionato del peso corporeo durante la gravidanza

Capita l'importanza del costante monitoraggio del proprio peso corporeo, la gestante dovrebbe rendersi conto che in questo particolare periodo della vita non è necessario "mangiare per due" come consiglia, con troppa sufficienza, la tradizione popolare.
Durante la gravidanza l'organismo materno deve costruire i tessuti del feto in formazione (3-3,5 kg), la placenta (500-600 g) ed il liquido amniotico (1 kg), depositare grassi di riserva (c.a. 3kg), sostenere l'espansione di sangue e liquidi interstiziali (2,5-3kg) e la crescita di seno (400 g) ed utero (1 kg); tutto ciò ha come conseguenza un aumentato bisogno di energia e nutrienti (i pesi riportati tra parentesi sono riferiti al peso medio delle rispettive strutture anatomiche al termine della gestazione).
L'aumentata richiesta metabolica è mediamente soddisfatta attraverso un supplemento quotidiano di circa 250 calorie, l'equivalente di 100 grammi di pane o di una fetta di torta alle mele. In ogni caso è buona regola ricavare tale energia da alimenti nutrienti, ricchi, per esempio, di proteine di elevato valore biologico (carne, pesce con moderazione per la possibile presenza di mercurio e latticini, ricchi, tra l'altro, di calcio, un nutriente importantissimo per le donne in dolce attesa). Un buon apporto di fibra è importante per combattere la stitichezza ed i problemi emorroidali che si manifestano frequentemente durante la gravidanza.
Come l'aumento ponderale, anche l'entità dell'apporto calorico dipende dalle condizioni della madre all'inizio della gravidanza: ad una gestante normopeso si raccomanda un incremento pari a 150-200 calorie al giorno, ad una madre sottopeso un incremento di 350-400 Kcal e ad una madre sovrappeso un incremento di 100-150 Kcal al giorno.

Peso in gravidanza

L'aumento di peso durante la gravidanza è un evento assolutamente fisiologico e, se rimane entro certo limiti, fondamentale per la buona salute del bambino e della madre. Nei primi tre mesi di gestazione l'aumento di peso è dovuto soprattutto all'accumulo di riserve energetiche (tessuto adiposo), necessarie per garantire al bambino un adeguato apporto di nutrienti negli ultimi mesi di gravidanza. E' questa, infatti, la fase in cui il feto cresce con maggiore rapidità, contribuendo concretamente all'aumento di peso della madre.
Il peso della madre è importante non solo durante la gestazione, ma già al momento del concepimento. Iniziare una gravidanza con il giusto peso ed aumentarlo gradualmente ad un ritmo moderato, è infatti il modo migliore per crescere un figlio in maniera ottimale.
L'incremento ponderale vero e proprio si fa più evidente a partire dal quarto mese, salvo poi rallentare negli ultimi tre mesi di gestazione. In questa fase l'aumento del peso materno è dovuto essenzialmente allo sviluppo del feto.
A titolo esemplificativo riportiamo l'aumento del peso corporeo medio della gestante durante la gravidanza:
PRIMO TRIMESTRE: 1,5-2 Kg (500 grammi al mese)

SECONDO TRIMESTRE: 4,5-5,5 kg (350-450 grammi alla settimana)

TERZO TRIMESTRE: 2,5-3,5 Kg (200-300 grammi alla settimana)
In termini assoluti si ritiene normale un aumento, per tutto il corso della gravidanza, di circa 12 chili.

Importanza del monitoraggio costante del proprio peso

Il risultato fornito dal modulo di calcolo sovrastate dev'essere una guida, non una legge. Un leggero scostamento dai valori consigliati è spesso fisiologico ma è comunque bene non prenderlo troppo alla leggera. Il peso andrà quindi controllato regolarmente in modo da cogliere in tempo eventuali variazioni anomale. Se per esempio il peso corporeo lievita più di 1 kg in dieci giorni è bene rivolgersi al medico, specie quando tale aumento è accompagnato da mani e piedi gonfi ed edematosi.
Sia un incremento eccessivo che una scarsa crescita del peso materno richiedono controlli medici adeguati. Un eccessivo aumento farebbe salire, per esempio, il rischio di feti "macrosomici" (di peso superiore ai 4kg) con possibili complicazioni al momento del parto. Una sovralimentazione durante la gravidanza affaticherebbe anche l'apparato digerente della gestante, con possibili ripercussioni sull'andamento metabolico del feto e del bambino (aumentato rischio di obesità infantile).
D'altro canto una ridotta crescita di peso potrebbe essere indice di scarsa nutrizione fetale o di una patologia in corso ed aumentare, di conseguenza, il rischio di parti prematuri e di ritardi nello sviluppo, con ripercussioni di vario genere durante le età successive. Il basso peso alla nascita si associa generalmente ad una più elevata mortalità fetale e perinatale, aumentando il rischio di malformazioni e di stati anemici per carenza di ferro, vitamina A o vitamina B12.

Gravidanza e allattamento influiscono sullo sviluppo del cervello

Una lunga gravidanza e un periodo duraturo di allattamento sono gli elementi che consentono al cervello umano di svilupparsi più che in ogni altro mammifero e che ci rendono più longevi. A sostenerlo è una ricerca della Durham University, diretta da Robert Barton e Isabella Capellini e pubblicata su “Proceedings of the National Academy of Sciences” (PNAS). La tesi di partenza era la dipendenza del cervello dei mammiferi dalle cure ricevute durante la gestazione e nella primissima infanzia. In particolare gli scienziati hanno considerato 128 diverse specie di mammiferi.



Hanno poi incrociato i dati sulla grandezza del cervello di cuccioli e adulti, esseri umani compresi, con quelli della lunghezza della gestazione e dell’allattamento ed è risultato un rapporto proporzionale tra le dimensioni del cervello e le energie materne investite durante e dopo la gravidanza. Nello specifico quello che gli scienziati hanno scoperto è che più è lunga la gravidanza più è grande il cervello del bambino appena nasce, maggiore è la durata dell’allattamento e più questo cresce nei primi mesi di vita. Così per esempio, il cervello di un umano adulto può arrivare a 1300 centimetri cubi: merito di una gravidanza di 9 mesi e di un allattamento fino a tre anni. Quello di un daino, che ha un peso corporeo paragonabile, è solo di 220 cc perché il periodo gestazionale di questo animale dura sette mesi e l’allattamento solo sei. A questo proposito il professor Robert Barton ha dichiarato: «Sappiamo già che le specie con un cervello più grande si sviluppano lentamente, maturano più tardi e hanno una vita media più lunga, ma ciò che non è sempre stato chiaro è il motivo per cui il cervello e le esperienze di vita sono correlate. Una teoria è che il cervello di grandi dimensioni aumenta la durata della vita, rendendo l’animale, più in generale, flessibile nelle sue risposte comportamentali alle sfide imprevedibili. Le nostre scoperte ci aiutano a capire quali sono le implicazioni dei cambiamenti evolutivi in varie fasi, prima e dopo la nascita, ma ora abbiamo bisogno di fare ulteriori ricerche per determinare con esattezza come le modifiche alle fasi di crescita pre e post-natale incidono sulla struttura del cervello». Una cosa però è certa. Gli studi fatti confermano ancora una volta gli aspetti positivi dell’allattamento al seno e il forte legame che esiste tra questo e lo sviluppo del nascituro.

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